Le cellule della pelle iniettate nel pancreas dei toopi di laboratorio si sono rivelate utili nella cura del diabete di tipo uno.
Lo dice uno studio, pubblicato sul numero del 6 febbraio della rivista Cell Stem Cell, condotto dai ricercatori dell’Istituto Gladston in California e coordinato dal dottor Sheng Ding.
L’efficacia della cura, al momento, ha trovato sperimentazione solo sui ratti e bisognerà ancora attendere per l’applicazione umana.
Il diabete di tipo uno, comunemente detto giovanile, si presenta in età adolescenziale ed è una malattia autoimmune. Ciò significa che il sistema immunitario attacca le cellule sane piuttosto che quelle estranee.
In questo caso, il sistema immunitario distrugge le cellule beta pancreatiche produttrici dell’insulina che, come sappiamo, è un ormone necessario per metabolizzare correttamente i carboidrati e fornire energia al nostro corpo.
Le persone alle prese con il diabete di tipo1 producono poca insulina e necessitano, quindi, di più iniezioni al giorno, di questo ormone.
La tecnica messa a punto dai ricercatori, dunque, si basa sulla modifica di alcune cellule prelevate dalla pelle che vengono trasformate in cellule beta e conseguentemente iniettate nel pancreas dei topi malati.
Gli scienziati hanno rilevato che le cavie sottoposte al trattamento hanno successivamente mostrato livelli di zucchero normali.
“Se questo trattamento funziona negli esseri umani come avviene nei topi, potremmo dire addio alle iniezioni quotidiane di insulina per le persone con diabete di tipo1“, hanno detto i ricercatori.
Il dottor Ding che ha curato lo studio ha detto che la sostituzione di cellule beta attraverso il trapianto ha avuto successo nei ratti, ma ci sono anche alcuni svantaggi. Le persone che ricevono trapianti devono assumere farmaci immunosoppressori che hanno effetti collaterali e rischi a lungo termine. Inoltre, non ci sono abbastanza donatori per soddisfare la potenziale domanda e, per finire, il sistema immunitario nel diabete di tipo 1 continuerà sempre a distruggere nuove cellule che producono insulina.
Per questo, secondo Ding, è necessaria una grande quantità di cellule beta per il trapianto e da qui è nata l’idea di trasformare cellule abbondanti, come quelle della pelle, in cellule beta.
Altri ricercatori, invece, hanno utilizzato cellule della pelle trasformandole in quelle che si chiamano “cellule staminali pluripotenti indotte“, cioè cellule che sono potenzialmente programmabili per svilupparsi in ogni altro tipo di cellula.
Tuttavia, questo processo complicato fa leva sull’impiego di un virus che sia in grado di introdurre le istruzioni per la riprogrammazione delle cellule. Ciò può far sì che le cellule continuino a riprodursi, dando vita, eventualmente, a tumori, secondo gli US National Institutes of Health.
Ma Ding ed i suoi colleghi sono stati in grado di programmare le cellule a comportarsi come cellule beta del pancreas, senza l’impiego di un virus e senza riportarle allo stadio di “tela bianca“.
“Abbiamo adottato una strategia diversa“, ha spiegato Ding, “impiegando piccole molecole o farmaci per indurre l’attivazione delle cellule. Abbiamo dato alla cellula tutto il potenziale ma non ci siamo spinti fino a riportarle allo stadio primitivo e poi abbiamo fornito un diverso insieme di segnali per spingerle a trasformarsi in cellule beta pancreatiche. Questo è un processo più sicuro e veloce“.
I ricercatori ritengono che questo studio sia un primo passo. “Si tratta di una ricerca prova“, ha detto Ding, “ora abbiamo bisogno di ottimizzare ulteriormente la nostra strategia per le cellule umane. Dobbiamo capire i limiti e le sfide della riprogrammazione fuori del corpo per poi ritornare nuovamente dentro al corpo. Infine, speriamo di creare una pillola che possa agire in modo specifico per riprogrammare le cellule del corpo“.
Un altro esperto, Albert Hwa che non ha preso parte allo studio ha descritto altri possibili benefici.
“Uno dei vantaggi di questo approccio è che facendo questo tipo di riprogrammazione, non si ottengono cellule che hanno un proliferazione potenzialmente incontrollata. Questo potrebbe essere un vantaggio in termini di sicurezza. Tale approccio potrebbe anche teoricamente risparmiare un enorme ammontare di costi“.
Tuttavia, un altro ricercatore ha sottolineato che i risultati di studi su animali non sempre si traducono positivamente sugli esseri umani.
“Questo costituisce un grande studio sui topi. Il prossimo passo sarà di verificare se le cellule umane reagiscono come quelle dei topi. Abbiamo imparato molto dai topi ma questo approccio deve essere adattato agli esseri umani“, ha detto Julia Greenstein, “solo in questo caso, si potrebbe creare un prodotto da trapiantare in una persona“. L’esperta ha sottolineato che queste cellule dovrebbero o essere incapsulate o la gente dovrebbe prendere un farmaco immuno- soppressore “perché sarebbe troppo costoso produrre serie cellulari a partire dalle cellule di ogni individuo“.
La ricerca in questione aggiungerà una maggiore conoscenza alla medicina rigenerativa, ha concluso Greenstein, “se possiamo capire fino in fondo questi segnali di programmazione, allora potremmo essere in grado di capire come modificarli“.
Autore | Marirosa Barbieri
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