La Chlamydia è un patogeno umano ed è la principale causa di malattia sessualmente trasmessa in tutto il mondo, con oltre 90 milioni di nuovi casi di infezioni genitali che si verificano ogni anno. Circa il 70% delle donne colpite da infezione da Chlamydia rimangono asintomatiche perché questi batteri sono in grado di stabilire infezioni croniche che durano mesi, o addirittura anni. Anche quando non provoca sintomi, la clamidia può danneggiare gli organi riproduttivi della donna. Inoltre, i farmaci antibatterici standard sono inefficaci e non sempre portano alla completa eradicazione, così la Chlamydia trachomatis passa alla fase persistente, con conseguente infezione cronica asintomatica. I ricercatori del Max Planck Institute per la biologia delle infezioni a Berlino (MPIIB) hanno dimostrato che le infezioni da Chlamydia trachomatis possono causare mutazioni nel DNA ospite, che spiana la strada allo sviluppo del cancro.
A causa della loro peculiarità intracellulare, i batteri della Chlamydia trachomatis dipendono da varie funzioni delle cellule ospiti per la loro sopravvivenza. La clamidia manipola il meccanismo della cellula ospite per favorire la sua crescita, tuttavia le conseguenze di tali modifiche sul loro “destino” rimane enigmatico. Ancora più preoccupante è l’evidenza epidemiologica che collega le infezioni da clamidia con lo sviluppo del cancro ovarico e del collo dell’utero. Cindrilla Chumduri, Rajendra Kumar Gurumurthy e Thomas F. Meyer, ricercatori presso l’Istituto Max Planck per la biologia delle infezioni a Berlino, hanno scoperto che la clamidia induce effetti duraturi sul genoma e l’epi-genoma delle loro cellule ospiti. Tali modifiche sono sempre più implicate nello sviluppo di una gamma di tumori. La squadra ha scoperto un aumento dei livelli di rotture del DNA nelle cellule infettate dalla clamidia. Nelle cellule normali, a seconda dell’entità del danno, le cellule o “si suicidano” o si attivano per ripararsi, grazie a complessi di proteine speciali, in un processo chiamato Damage Response DNA, che richiude i fili spezzati del DNA e assicura che la sequenza del codice genetico ha sia stata modificata. Nelle cellule infettate dalla clamidia il Damage Response DNA è stato compromesso, portando la riparazione a commettere errori e quindi ad essere causa di mutazioni. Sorprendentemente, nonostante la presenza di ingenti danni al DNA, le cellule infettate continuano a proliferare, facilitate da ulteriori segnali a favore della loro sopravvivenza attivati nelle cellule ospiti; il rovescio della medaglia di questa sopravvivenza forzata è che le cellule danneggiate hanno una maggiore tendenza a eludere i normali meccanismi che eliminano le cellule che trasportano le mutazioni. Il team di ricerca crede che questo potrebbe essere il primo passo sulla via della carcinogenesi delle cellule infette, a causa della crescita incontrollata in presenza di danni al DNA – che è il segno distintivo del cancro.
L’identificazione di infezioni che potrebbero essere l’origine dei tumori umani è importante perché consente la prevenzione precoce di cancerogenesi mediante vaccinazione o trattamento antibiotico. Tali strategie preventive sono attualmente perseguite con successo contro gli agenti cancerogeni umani Papilloma Virus (HPV) e l’Helicobacter Pylori, agenti eziologici del cancro della cervice e del cancro all’apparato gastrico. Tuttavia, molte eziologie non sono state chiaramente stabiliite e quindi il trattamento del cancro è di solito limitato ai pazienti in fase avanzata e con una diagnosi di cancro.
Il reparto del Professor Meyer presso l’Istituto Max Planck MPIIB, pertanto, persegue scrupolosamente diverse linee di ricerca, per valutare in modo inequivocabile il collegamento tra infezioni batteriche e cancro, a parte il ben noto ruolo carcinogenico del Papilloma Virus (HPV) e dell’Helicobacter Pylori. Il documento attuale costituisce un pezzo importante del mosaico, rinforzando un potenziale legame tra le infezioni da clamidia femminili e il cancro ovarico in particolare.
Per maggiori dettagli, visitate il sito della Max-Planck-Gesellschaft: http://www.mpg.de/
22 giugno 2013
Autore | Daniela Bortolotti
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