Ti è mai capitato di metter l’olio a scaldare in padella e poi di venire distratta da una telefonata o da qualcosa in TV? Allora di sicuro avrai fatto caso al risultato: odore aspro, fumo nero e, se hai l’allarme antincendio in cucina, l’avrai sentito scattare a sirene spiegate. Ovviamente è un caso, ma è bene sapere che non solo, una volta bruciato, l’olio non sarebbe più utilizzabile, è importante sapere, più di tutto, che un olio così sarebbe nocivo. L’olio surriscaldato contiene infatti elementi chimici dannosi per la salute.
Idealmente, non bisognerebbe nemmeno aspettare che l’olio cambi colore, perché quello è il primo segnale che la struttura chimica dell’olio sta già iniziando lentamente a degradarsi. Ciò significa che è il momento in cui si vengono a formare i radicali liberi, e altri composti nocivi per l’organismo.
Perciò, è importante scegliere l’olio giusto per il giusto obiettivo; soprattutto, se hai intenzione di usarlo in cottura, è importante che abbia un elevato punto di fumo. Il punto di fumo è il momento in cui, appunto, l’olio inizia a degradarsi. Più è elevata la temperatura alla quale succede, più sicuro sarà usare o meno quell’olio per friggere o cucinare. In parte, il punto di fumo è determinato dal tipo di olio. L’olio di noci ad esempio, raggiunge il suo punto di fumo intorno ai 160°C, mentre quello di vinacciolo può raggiungere i 246°C prima di iniziare a decomporsi. Ma il tipo d’olio è soltanto una parte della questione.
Il processo di raffinazione, che separa l’olio dalle sue impurità, migliora il punto di fumo. Ad esempio, l’olio extravergine ha il suo punto di fumo intorno ai 163°C, ma le sue versioni più raffinate (o “light”) possono venir solitamente riscaldate fino a 232°C o più. Quindi, ecco qui un consiglio per risparmiare soldi e tempo: tieni l’olio extravergine d’oliva per l’uso a crudo, e utilizza olii più leggeri per cuocere le tue verdure.
Ma il punto di fumo è solo metà del problema
Quando cucini, non è solo importante evitare che l’olio superi il suo punto di fumo. Gli olii che contengono un elevato ammontare di grassi polinsaturi (come l’olio di mais, di soia, di semi di girasole e altri olii di semi) formano un composto dannoso per la salute chiamato HNE quando vengono riscaldati. Ma ciò accade anche con olii molto raffinati, che hanno un elevato punto di fumo. L’HNE (4-hydroxinonenal) viene dunque assorbito dal cibo, immerso nell’olio scaldato, e da lì entra nel tuo flusso sanguigno, dove può avere effetti devastanti.
Non vogliamo allarmarti, anche perché considerati i ritmi e le abitudini della vita moderna è praticamente impossibile evitare l’HNE. Fortunatamente inoltre, il nostro sistema di disintossicazione e il nostro sistema immunitario, sono in grado di cavarsela egregiamente da soli, per un po’. Ma, quando possiamo, cerchiamo di minimizzare al massimo l’esposizione alle tossine ambientali. Un modo per iniziare è quello di cercare di non utilizzare olii ricchi di grassi polinsaturi per cucinare (olio di mais, olio di soia e gli olii vegetali “per tutti gli usi”), anche se hanno un elevato punto di fumo.
Perché non dovresti mai riutilizzare l’olio
Non è mai una buona idea riutilizzare un olio già scaldato per cucinare o friggere un altro cibo in precedenza. Innanzitutto, perché ogni qualvolta un olio viene scaldato, il suo punto di fumo s’abbassa, e s’abbassa sempre più ad ogni riuso. Inoltre, più questo stesso olio viene scaldato, più HNE conterrà. Non solo la maggior parte dei ristoranti frigge i propri cibi in olii ricchi di grassi polinsaturi, ma spesso riutilizzano quegli olii più e più volte. Un’altra ottima ragione dunque, per limitare il proprio consumo di cibi fritti (almeno fuori casa!).
Perché l’olio si fa rancido?
Sfortunatamente, l’olio si fa rancido anche se non viene utilizzato, stando semplicemente a riposo nei pensili della tua cucina. Oltre ad avere un odore e un sapore aspri, l’olio irrancidito contiene radicali liberi, e non dovrebbe dunque essere utilizzato. Tanti più grassi polinsaturi contiene un olio, tanto più rapido sarà il suo processo di decomposizione. Per questa ragione, se vuoi comprare olii di semi o derivati dalla frutta secca – che contengono elevati livelli di grassi polinsaturi – fai in modo che sia in piccole quantità, e conservale, ogni volta in frigorifero. Olii che contengono meno grassi polinsaturi, come quello d’oliva, di colza o di cocco, possono venir invece tranquillamente conservati in un pensile.
Quindi, che olii dovresti usare?
Considerando tutto ciò che abbiamo detto fin qui, i migliori olii da utilizzare in cucina sono:
Per elevate temperature
Per friggere, cuocere a fuoco vivo, grigliare, passare e ripassare in padella, o arrostire, la scelta migliore da compiere, è ripiegare sugli olii leggeri (o raffinati): olio d’oliva, di avocado, burro chiarificato (noto anche come ghee), olio di palma raffinato, o olio di cocco. Hanno tutti un elevato punto di fumo e contengono pochi grassi polinsaturi.
Per temperature moderate
Per dei leggeri sauté, per gli stufati, per le cotture al forno, o i brasati, si consigliano gli stessi olii indicati sopra. Se vuoi un po’ di sapore in più, puoi anche decidere di optare per un olio d’oliva filtrato.
A crudo
Per condire l’insalata o dare sapore a un piatto già pronto, scegli un olio extravergine d’oliva non filtrato, oppure un olio di frutta secca non raffinato e tostato, o un olio di semi, per dare più sapore al tuo piatto e aggiungervi importanti benefici per la salute.
Autore | Enrica Bartalotta
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