Il cibo è un argomento che, da sempre, riesce a riscaldare gli animi. Domandarsi che cosa, come e quanto mangiare è in grado di ispirare credenze quasi a livello di religione e, conseguentemente, di guerre pseudo-religiose. Di questa settimana è un accesissimo “flame” (che, in gergo, significa un litigio) su Twitter fra David H. Freedman (scrittore e autore sulla medicina dell’obesità) e Todd Essig (psicologo clinico newyorkese) circa la risposta del secondo ad un articolo ritenuto fuorviante dello scrittore, dal titolo “Come il cibo spazzatura può risolvere l’obesità“.
Soprattutto per gli obesi con problemi economici, specie fra le persone non bianche, la proposta di Freedman è di preferire il cibo spazzatura: “Se McDonald togliesse circa 100 calorie in un pasto tipico, tutto andrebbe bene” sostiene l’autore dell’articolo. I cibi integrali, la maggior parte delle verdure, non sono adatti a questo tipo di persone, ma non per una questione di autocontrollo, bensì perché non è per “i poveri” che, semplicemente non hanno i mezzi per sostenere economicamente questo tipo di alimentazione. Di conseguenza, Freedman suggerisce di continuare a mangiare il cibo spazzatura.
Perché questa provocazione? Una vita migliore senza abbandonare il cibo spazzatura comincia con l’idea che le calorie sono calorie, indipendentemente da dove vengano e come vengano consumate. Freedman afferma ” semplicemente non c’è una chiara evidenza, credibile, che ogni aspetto della trasformazione dei prodotti alimentari o di stoccaggio renda un alimento malsano oppure no“.
Secondo Essig, invece, l’evidenza c’è: una chiara, lampante prova che alcuni alimenti trasformati possano essere considerati soltanto malsani, la si può trovare nel nuovo articolo del “The American Journal of Clinical Nutrition”.
Ciò che si mangia, e non solo quante calorie si consumano, può influenzare negativamente il prossimo pasto. Il documento dei ricercatori ha analizzato gli effetti delle calorie: la dimensione del campione era piccola e la modalità standard, randomizzata. I risultati sono stati abbastanza soddisfacenti e così lo studio ha esaminato cosa succede nel nostro corpo 4 ore dopo aver consumato due diversi frullati –uno dai menu dei fast food e l’altro invece no: innanzitutto un rapido aumento dei livelli di glucosio nel sangue (ad alto “IG”, indice glicemico) nel primo, mentre l’altro (a basso indice glicemico) non ha avuto lo stesso effetto. La fluttuazione dell’IG ha confermato che gli alimenti trasformati tendono ad alzare l’indice glicemico, mentre i cibi integrali tendono a mantenerlo basso. I cibi spazzatura trasformati, provocano grossi sbalzi di glucosio nel sangue.
Al di là delle differenze di indice glicemico, i frullati erano identici in termini di gusto, calorie ed equilibrio nutrizionale.
Quattro ore dopo aver consumato un frullato, si potrebbe essere sempre pronti per il pasto successivo: i ricercatori hanno misurato i livelli di glucosio nel sangue, che sono indicatori dei livelli di fame, e l’attività cerebrale in una zona che elabora il piacere e il desiderio. I risultati sono stati chiari: più si consumano alimenti trasformati ad alto indice glicemico e prima si è pronti per il prossimo pasto, non appena la glicemia sarà diminuita in conseguenza della scossa iniziale; di conseguenza si sentirà più fame e il centro del piacere nel cervello invierà richieste all’impazzata. A quanto pare, sembra che il cervello degli esseri umani si stia adattando a livelli di glucosio nel sangue che portano a consumare di più e poi sempre di più: ciò è estremamente malsano. Quanto vi sentirete affamati a cena non dipende solo da quanto avete mangiato a pranzo, ma anche su ciò che avete scelto. Le stesse calorie del cibo spazzatura vi faranno desiderare una cena più sostanziosa rispetto a quanto avreste desiderato se aveste consumato un pranzo senza cibi industrializzati. Il detto “siamo ciò che mangiamo” non è poi così sbagliato.
Quindi, secondo Essig, il junk-food non è la risposta al problema dell’obesità. La coscienza che dal 2007 ci ha trasmesso Michael Pollan (autore, giornalista e professore di giornalismo presso la University of California, ndA), cioè che a renderci più sani non siano le cose che mangiamo, ma la somma delle sostanze che le compongono, si conferma giusta come sempre. Sviluppare una consapevolezza culinaria che dia al cibo l’opportunità di essere una fonte di benessere anziché un problema.
Se volete continuare a seguire la diatriba direttamente sul social network: twitter.com/ToddEssig, twitter.com/dhfreedman
01 luglio 2013
Autore | Daniela Bortolotti
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