Kaitlyn Greeley non era tra i maratoneti vittime del sanguinoso attentato di Boston, avvenuto giorni fa per mano di terroristi ceceni.
Ma Kaitlym Greley, era di turno, quel giorno, presso il Tufts Medical Center di Boston quando le vittime dell’esplosione sono accorse, disperate, al pronto soccorso.
E sente ancora addosso i segni di quell’atmosfera gravida di ansia e terrore: di notte piange ed ha paura di prendere il solito treno che ogni giorno la traghetta al lavoro.
Tanti testimoni e superstiti dell’attentato, come Kaithlym, vivono in preda all’ansia ed a crisi isteriche: vivono quello che in gergo si chiama stress post-traumatico.
Una condizione di disagio emotivo che non attanaglia solo le persone colpite dalle esplosioni ma anche quelli che non hanno riportato danni fisici ed hanno comunque vissuto quell’esperienza.
Gli specialisti dicono che i sintomi sono normali, che ci vorrà ancora del tempo perché essi scompaiano. Chi ha assistito ai bombardamenti, sostengono gli psicologi, “potrebbero registrare difficoltà a dormire o mangiare, sudorazione, dolori di stomaco, ansia, paura, difficoltà a concentrarsi sul lavoro o sulle altre attività quotidiane”.
Priscilla Dass-Brailsford, psicologa presso la Georgetown University Medical Center, ha detto che se questi sintomi non dovessero scomparire tra circa un mese, bisognerà cercare aiuto perché è probabile che le vittime siano affette da PTSD, un disturbo che può includere ansia, irritabilità ed insonnia per mesi e mesi dopo il trauma.
Questo malessere ha caratterizzato anche i veterani delle guerre in Iraq ed Afghanistan che hanno registrato persino forti stati di depressione.
Negli ospedali di Boston, corposi team di consulenti ed assistenti sociali si stanno attrezzando per dare supporto alle vittime dell’attentato ed alle loro famiglie coinvolte nella strage, come Anndee Hochman titolare di un negozio a Philadelphia. La Hochman era a Boston, insieme alla figlioletta di 12 anni, per fare il tifo per il suo partner quando è stata investita dalle esplosioni che, fortunatamente, non l’hanno colpita.
“La maggior parte delle persone dice di avere dei flashback improvvisi che ricordano i momenti dell’attentato”, ha detto Lisa Allee che dirige il Response Team del Boston Medical Center, “la difficoltà maggiore sta nel rassicurare i più piccoli, i bambini emotivamente più vulnerabili rispetto agli adulti e temono che le esplosioni possano ripetersi”.
C’è gente che si reca presso i punti di ascolto solo per parlare, sfogare rabbia, dolore represso e per trovare una mano.
Autore | Marirosa Barbieri
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