La mancanza di studi clinici dedicati ai giovani pazienti di cancro al seno potrebbe essere in parte responsabile dei problemi di sopravvivenza a lungo termine, lo sostengono alcuni esperti. Lo studio, finanziato dalla Cancer Research UK e dal Wessex Cancer Trust, ha analizzato quasi 3.000 donne con una diagnosi di cancro al seno sotto i 40 anni. Si è riscontrato un rapido aumento della ricaduta dopo cinque anni in soggetti più giovani e con un certo tipo di cancro e ciò contrasta con quanto normalmente avviene con la malattia: i dati, pubblicati sul Journal of National Cancer Institute, hanno infatti dimostrato che la sopravvivenza a cinque anni dopo la diagnosi era dell’85% mentre, a otto anni è stata del 68%. Il cancro al seno è per lo più diagnosticata in donne in post-menopausa e quelle con una diagnosi under 40 rappresentano meno del 5% di tutti i tumori al seno trattati. Lo studio ha esaminato quindi i casi di recettore positivo di estrogeno della malattia, poiché i tumori sono alimentati dall’ormone femminile estrogeno.
Questa malattia è di solito trattata con chemioterapia seguita dall’assunzione di tamoxifene per i cinque anni successivi, per bloccare i recettori degli estrogeni. I ricercatori hanno suggerito che l’assunzione di tamoxifene per un periodo più lungo può aiutare, ma hanno anche aggiunto che il problema di fondo è sono necessari dei test per coinvolgere i pazienti più giovani.
Il capo ricercatore, Professoressa Dianna Eccles, ha dichiarato: “Questo studio aggiunge una prova al fatto che il cancro al seno può comportarsi in modo molto diverso quando è diagnosticato nelle donne più giovani e, quindi, possono richiedere un approccio diverso al trattamento, che non è necessariamente comprensibile dalle prove del cancro nelle pazienti più anziane“.
La Dottoressa Kate Law, direttore della ricerca clinica presso il Cancer Research UK, ha aggiunto: “Anche se la sopravvivenza generale dopo il cancro al seno è migliorata notevolmente negli ultimi decenni e le donne ora hanno il doppio di probabilità di sopravvivere alla malattia per almeno 10 anni, rispetto a ciò che accadeva negli anni ‘70, lo stesso non si può dire per le pazienti più giovani“.
08 giugno 2013
Autore | Daniela Bortolotti
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