Una nuova classe di farmaci per il diabete non sembra aumentare il rischio di attacco di cuore, ictus o morte del paziente, lo hanno stabilito due grandi studi, che hanno offerto qualche rassicurazione a medici e pazienti preoccupati per i possibili effetti negativi sul cuore. Tuttavia c’è un segnale –comparso in una delle prove che sono state presentate alla riunione di cardiologia internazionale lunedì scorso- che il farmaco potrebbe aumentare il rischio di ricoveri per scompenso cardiaco nei pazienti: l’insufficienza cardiaca è una complessa patologia cronica a causa della quale il cuore non pompa abbastanza sangue al corpo. I risultati sollevano anche interrogativi sul fatto che i farmaci che si limitano ad abbassare lo zucchero nel sangue, senza affrontare colesterolo, pressione sanguigna o fattori di stile di vita, siano o meno sufficienti per migliorare la salute del cuore. Precedenti piccoli studi avevano infatti suggerito un possibile beneficio nell’abbassare lo zucchero nel sangue.
Regolari controlli sui possibili effetti cardiovascolari deleteri delle medicine per il diabete sono nati in questi ultimi anni, dopo una polemica causata da un farmaco per il diabete di una classe diversa, che è stato collegato a un aumento del rischio di eventi cardiovascolari acuti, come un infarto, nei pazienti.
Nel 2008, la US Food and Drug Administration ha emesso linee guida che i produttori di farmaci devono seguire per dimostrare che i nuovi farmaci per il diabete non portino ad un “inaccettabile aumento del rischio cardiovascolare“. Nel 2010, il farmaco Avandia è stato rimosso dal mercato in Europa e l’uso negli Stati Uniti è stato limitato, ma nel mese di giugno, uno studio della Duke University ha suggerito che gli eventi cardiovascolari non sono aumentati con l’uso dell’Avandia, così un comitato di esperti ha consigliato alla Food and Drug Administration di rivedere i parametri. Gli studi presentati lunedi alla Società Europea di Cardiologia hanno parlato di una nuova classe di farmaci noti come inibitori DPP-4, che dovrebbero contribuire a portare lo zucchero nel sangue dei diabetici nel range di normalità. Entrambi gli studi sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine.
Una delle prove, nota come “Savor Timi-53”, è uno studio su 16.492 pazienti relativo al farmaco Saxagliptin, commercializzato dalla Bristol-Myers Squibb Co. I pazienti con diabete di tipo 2 e con una storia di rischio di eventi cardiovascolari sono stati assegnati a al trattamento con farmaco o con un placebo, nonché ad altri standard di trattamento, e sono stati seguiti per due anni in media. L’altro studio, intitolato “Esaminare”, è un test randomizzato sull’Alogliptin della Takeda Pharmaceutical su circa 5.400 pazienti per una media di 18 mesi.
Gli studi, condotti indipendentemente l’uno dall’altro, hanno trovato risultati simili sul punto principale dell’attacco di cuore: le gliptine non avevano aumentato il rischio di infarto rispetto a un placebo, ma non avevano nemmeno un minor rischio. Tuttavia, non vi era una differenza statisticamente significativa delle ospedalizzazioni causate da scompenso cardiaco con il trattamento Onglyza: 3,5% per il gruppo che lo assumeva, rispetto al 2,8% per il gruppo trattato con placebo.
“Penso che ciò che abbiamo fornito in questa prova è una grande chiarezza rispetto al rischio di attacco di cuore“, ha dichiarato il Dott. Deepak Bhatt, dirigente medico presso l’Ospedale Brigham & Women di Boston, che ha presentato i dati del primo studio citato. “Ma questa constatazione di scompenso cardiaco è stata inaspettata. Per questo motivo, è importante essere cauti nell’interpretarla: la scoperta ha bisogno di un ulteriore esame per verificare e capire quali pazienti potrebbero essere soggetti a scompenso cardiaco”, ha spiegato il Dott. Bhatt. “Quello che dobbiamo fare, ed è infatti quello che stiamo facendo, è veramente cercando di eseguire analisi multidimensionali e vedere esattamente quali soggetti potrebbero essere a rischio di insufficienza cardiaca” ha concluso lo scienziato.
Nel complesso, gli esperti non coinvolti nello studio hanno dichiarato che i dati, in gran parte, hanno messo a riposo le preoccupazioni circa il possibile rischio infarto a causa degli inibitori DPP-4. “Mi sento personalmente rassicurato“, ha confermato il Dott. Anthony Demaria, professore di medicina presso l’Università di California di San Diego e redattore capo del Journal of American College of Cardiology. “Le gliptine possono essere incorporate in un trattamento complessivo del diabete senza eccessiva preoccupazione per gli effetti cardiaci”.
Rimane poco chiaro se farmaci per il diabete che abbassano lo zucchero nel sangue possono portare benefici al cuore: alcuni esperti hanno riferito risultati scoraggianti, che suggeriscono che gli inibitori DPP non riducono il rischio di infarto; altri hanno sostenuto di non aspettarsi un vantaggio, perché un approccio composito è comunque necessario. Gli inibitori della DPP-4 tendono a essere lievi nel loro effetto, ma ben tollerati, di conseguenza non è molto logico pensare che il solo abbassamento del glucosio nel sangue si tradurrebbe in una riduzione del rischio di attacco di cuore, ha confermato il Dott. Heinz Drexel, presidente del dipartimento di medicina e cardiologia presso l’Ospedale Feldkirch in Austria e presidente dell’Associazione Austriaca Diabete. Il medico non è stato coinvolto in questi studi, ma è stato investigatore sulle varie sperimentazioni cliniche dei farmaci per il diabete. “L’abbassamento del glucosio deve essere accompagnato da un abbassamento del colesterolo attraverso le statine e dal controllo della pressione arteriosa”, ha spiegato Drexel.
“Questi ultimi risultati suggeriscono che la Food and Drug Administration ha bisogno di pensare a un nuovo modo di valutare i farmaci per il diabete”, ha dichiarato la Dott.ssa Sanjay Kaul, cardiologo al Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles, che ha scritto un editoriale in proposito, lo scorso lunedì sul New England Journal of Medicine. “Attualmente si utilizza un indicatore a base di sangue per il controllo del glucosio chiamato HbA1c, che funge da interfaccia per il controllo del diabete ed è utilizzato come misura di esito primaria su cui si basano le approvazioni” ha spiegato la Dottoressa.
“Ormai è tempo per la Food and Drug Administration di considerare un risultato clinico orientato al beneficio, come la prevenzione di insufficienza renale o di cecità”, ha replicato il Dott. Kaul. “Mentre è rassicurante che la prova non suggerisca problemi cardiovascolari, è deludente che nessuna di queste terapie sia in grado di procurare alcun beneficio“, ha concluso il Dottore.
Autore | Daniela Bortolotti
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