Probabilmente lui non ci sperava. Eppure Dennis Aabo Sorensen, 36enne danese, lo scorso 26 gennaio si è trovato dinanzi ad una meravigliosa scoperta: la mano artificiale innestatagli come protesi, gli ha restituito la sensazione tattile.
E’ il successo ottenuto da un team internazionale di medici, tra cui svettano in prima fila quelli italiani alle prese, da tempo, con lo studio LifeHand2, pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine.
L’intervento è stato possibile grazie all’Università Cattolica–Policlinico Agostino Gemelli di Roma, l’Università Campus Bio-Medico di Roma, la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e l’IRCSS San Raffaele di Roma.
Anche due importanti centri esteri hanno preso parte alla sperimentazione: l’Ecole Polytechnique Federale di Losanna e l’Istituto IMTEK dell’Università di Friburgo.
PERSE LA MANO A CAUSA DI UN PETARDO
Dennis perse la mano, nel 2004, in seguito all’esplosione di un petardo in occasione dei festeggiamenti di Capodanno.
“Purtroppo uno dei petardi utilizzati ha fatto saltare in aria la mia mano“, ha raccontato Sorensen.
I medici hanno dovuto amputare ciò che rimaneva del suo arto sinistro e da allora Sorensen è andato avanti con una mano protesi standard, che si apre e si chiude consentendogli di compiere i gesti di base.
Com’è cambiata la sua vita?
“Quando sono al supermercato posso portare con me una borsa“, dice Sorensen, “ma il problema più grande è il tempo che spendo in ciò che faccio”.
Con una protesi standard, Sorensen non poteva sentire ciò che toccava. Così, quando ha sentito parlare di una protesi sperimentale che gli avrebbe permesso di recuperare la sensazione tattile, ha deciso di provarci.
“All’inizio credevo che questo non potesse essere vero“, ha detto, salvo poi ricredersi.
L’ intervento, avvenuto il 26 gennaio scorso, è durato più di otto ore e si è tenuto presso il Policlinico Agostino Gemelli di Roma. Ad operare Sorensen ci ha pensato il neurochirurgo Eduardo Marcos Fernandez.
Ora Dennis può finalmente sentire la presa degli oggetti.
“E ‘stato davvero, davvero incredibile“, ha dichiarato, “perché improvvisamente la mia mano artificiale ed il mio cervello lavoravano all’unisono dopo molti anni“, dice Sorensen.
Anche da bendato e con tappi per le orecchie, Sorensen è ora in grado di percepire la differenza tra un mandarino ed una palla da baseball, fra un blocco di legno duro ed un pezzo di tessuto morbido.
Qual è il risultato raggiunto?
Grazie alla protesi in questione, i ricercatori hanno messo in collegamento la mano con il cervello creando una sorta di feedback sensoriale.
E’ stato prodotto un link tra il sistema nervoso e la protesi biomeccatronica attraverso l’applicazione di elettrodi.
I ricercatori hanno aggiunto sensori per ogni dito della mano e poi hanno inserito minuscoli elettrodi nel braccio di Sorensen così da collegare i sensori ai nervi del suo braccio.
“L’obiettivo del nostro progetto era quello di fornire informazioni sensoriali ad un arto amputato in tempo reale, al fine di aumentare la fruibilità delle informazioni sensoriali“, ha spiegato Silvestro Micera, direttore del Laboratorio di Ingegneria Traslazionale Neural presso l’Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne in Svizzera, “si tratta di nervi che collegano la mano al cervello e che trasporto le informazioni sensoriali dai nostri sensori naturali delle dita della mano, fino al cervello“.
Sull’efficacia dell’intervento, esistono pareri discordanti.
“Gli effetti di questo esperimento sono ancora da vedere“, dice Daofen Chen, direttore del programma di neuroscienze cognitive presso il National Institutes of Health.
Chen si chiede se le persone con arti amputati sarebbero disposte a subire ore di intervento chirurgico per avere degli elettrodi impiantati chirurgicamente nelle loro braccia. E il dispositivo è attualmente troppo ingombrante per essere usato nella vita quotidiana.
Altri, invece, sono più entusiasti.
“Credo che sia meraviglioso aggiungere la percezione tattile“, dice Dustin Tyler, professore associato di ingegneria biomedica alla Case Western Reserve University, “e se è questo ciò che si ottiene attraverso l’intervento, credo ne valga la pena“.
Micera dice che c’è ancora molto lavoro da fare prima che la mano venga resa ampiamente disponibile ma spera di iniziare a testarne una versione su volontari, nel giro di pochi anni.
Autore | Marirosa Barbieri
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